Allarme
inflazione
Di
Carlo Pelanda (26-5-2008)
Da un lato,
il rallentamento della crescita globale pur in atto, appare meno acuto di
quanto si temeva, ma, dall’altro, l’aumento dell’inflazione sta prendendo una
tendenza pericolosa. Fino a pochi mesi fa si pensava che il picco di
inflazione, dappertutto, fosse dovuto ad un shock temporaneo. Ma da qualche
tempo si comincia a temere che la carenza di offerta di petrolio e, pur meno,
di materie alimentari sia strutturale. Questa non è una buona notizia perché l’inflazione
è un pericolo di tale entità da far preferire la recessione per evitarlo.
I Paesi
emergenti mostrano quasi tutti un’inflazione a due cifre (Cina circa 16%, forse
più, Argentina oltre il 20, ecc.). In quelli sviluppati e maturi, America ed Europa,
comunque i prezzi salgono oltre i livelli di guardia. Nella zona euro è
considerata accettabile un’inflazione al 2%, ora viaggia sopra il 3. Negli
Stati Uniti è un po’ di più. Tali numeri fanno ipotizzare che le Banche
centrali di tutto il pianeta abbiano sottovalutato, chi più chi meno, il
problema dell’inflazione lasciando il costo del denaro più basso di quello che
sarebbe dovuto essere, cioè l’economia troppo a briglie sciolte. E ciò è
successo perché, appunto, il picco dei prezzi energetici ed alimentari era
considerato contingente e riassorbibile e nessuno se la è sentita di soffocare
la crescita per prevenire l’inflazione stessa. Ma poi i dati hanno mostrato che
la domanda in Cina ed India terrà i prezzi di tali materiali in tensione
permanente. Nell’eurozona, dove la
Bce certo non è lassista, le “bombe” di liquidità immesse nel
sistema per bilanciare la crisi finanziaria hanno comunque prodotto un effetto
inflazionistico. Ed ora in tutto il mondo, per la prima volta dopo gli anni
’70, sta andando in priorità il problema di disinflazionare anche a scapito
della crescita. La Banca
d’Inghilterra ha tenuto il costo del denaro elevatissimo (sopra il 5%)
nonostante la tendenza recessiva in atto. In America la Fed ha fatto capire che non
taglierà ulteriormente i tassi (al 2%) pur la crescita calante. E anche la Bce, che si prevedeva avrebbe
tagliato i tassi in autunno per contrastare la recessione nell’eurozona, li
terrà così come sono o perfino li rialzerà. La Cina dovrà anche calmierare l’incremento dei
prezzi e ciò avrà un impatto sulla crescita. In questa generale tendenza
disinflazionistica dobbiamo aspettarci che chi governa il sistema preferirà
prendere il rischio di recessione piuttosto che quello di inflazione. Per tale
motivo lo scenario di rimbalzo dopo il rallentamento economico del 2008 si sta
modificando: la ripresa globale, prevista in avvio nel 2009 fino a poco tempo
fa, probabilmente arriverà in ritardo e sarà più contenuta. Gli Stati Uniti
saranno favoriti da un tipo di mercato che, poiché più libero, ha più
concorrenza ed efficienza e quindi maggiore capacità di annullare l’inflazione
con soluzioni di flessibilità. Lì la ripresa potrebbe essere anticipata e più
forte, forse. Ma per l’Europa, dove il mercato è più vincolato e meno flessibile,
quindi meno capace di annullare la tendenza inflazionistica con soluzioni di
efficienza, è molto probabile che la priorità disinflazionistica ci manterrà in
crescita bassa per un periodo prolungato. Questo è l’aggiornamento dello
scenario in un momento di rapidi cambiamenti. Dobbiamo aver paura? Per un po’
soffriremo, poi il sistema dovrebbe adattarsi alle nuove condizioni di prezzo
di energia ed alimentari, contenendolo. Quanta sofferenza e per quanto in
Europa? Due anni di crescita bassa, ma non di recessione pesante, è lo scenario
migliore e spero che il prossimo aggiornamento possa confermarlo.
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